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Davide
Pagliarini
Il paesaggio invisibile
Dispositivi minimi di neo-colonizzazione
Librìa editore, 2008
Il paesaggio invisibile raccoglie
l'esito
di una ricerca avviata nel 2003 dal laboratorio new landscapes
sulle diverse forme della dispersione urbana costiera nella Sicilia sud-orientale,
conclusasi con il progetto di una rete di infrastrutture diffuse in grado
di orientare un processo di riequilibrio tra i manufatti esistenti e l'ambiente
circostante.
L'indagine si concentra sul delicato ecosistema litorale, ricostruendo attraverso
l'uso di fotografie, dati e mappe, le tracce di un paesaggio sospeso, obbligato
ad una permanente incompiutezza che oltre a definirne l'identità,
ne rappresenta forse la risorsa più rilevante.
Coniugando diverse discipline, dalla grafica alla fotografia, dall'ingegneria
al paesaggio, l'architettura dilata qui il proprio campo d'azione, ponendosi
come dispositivo sociale in grado di innescare nuove strategie insediative,
messe in atto attraverso una nuova forma di colonizzazione, compiuta per
somma di interventi minimi e aperta a sostenere domande differenziate e
inattese.
Se l'architettura possiede un'intima capacità di partecipare alla
rappresentazione dell'identità di un luogo, le macchine ecologiche
ad essa associate rivelano nuove potenzialità sociali per esprimere
una rinnovata relazione tra l'uomo e l'ambiente in cui vive.
Prendendo congedo dagli estremi del condono e della denuncia di stampo legalista,
il libro vuole offrire gli strumenti per una lettura aggiornata sul paesaggio
dell’abusivismo edilizio e agricolo costiero, a partire da un’indagine
condotta tra il 2003 e il 2008 nel più grande distretto italiano
di agricoltura intensiva, tra le province di Ragusa e Caltanissetta, concentrandosi
tanto sulle nuove condizioni di incertezza e vulnerabilità manifestatesi
nel decennio appena trascorso, quanto sulle potenzialità per un suo
parziale e progressivo recupero consapevole.
Esso compie una estesa indagine sul territorio costiero, condotta utilizzando
diversi linguaggi e strumenti di analisi -dalla fotografia alla grafica,
dall’architettura al paesaggio- e, dopo aver individuato i principali
temi di progetto e gli attori sociali coinvolti, avanza un’ipotesi
progettuale per una rete di infrastrutture collettive rivolte alla gestione
di quelle risorse che poco efficacemente possono essere demandate ad un’azione
individuale e non coordinata, chiamando in causa una nuova coscienza comune
verso l’ecosistema, bene collettivo.
Il libro “Il paesaggio invisibile” fa parte della Biblioteca
del Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda
e del Centro di Documentazione di Connecting Cultures.
Anna Foppiano, Città latenti e Paesaggio invisibile
Sito internet del mensile Abitare, agosto 2008
Da almeno
due settimane porto questi due libri con me dappertutto. Dovrei scrivere
poche righe di segnalazione, ma non mi decido, non li mollo, rimando.
Li sfoglio e sfoglio ancora, cerco di metterne a fuoco la struttura, mi
fermo in modo poco sistematico su alcune parti. Perché traccheggio?
Una delle metafore possibili è fin troppo semplice. Questi due
libri – ma bisognerebbe dire: questi due progetti – hanno
una stratificazione e una densità analoga a quella del loro oggetto
di studio, il paesaggio abitato, una sana complessità entro cui
appunto è possibile muoversi, sostare e anche perdersi. In sintesi.
Assunto di partenza di Federico Zanfi: “La città abusiva
è il più vasto progetto collettivo mai realizzato nel nostro
paese”. Una realtà fisica e ben tangibile raramente inquadrata
nella sua effettiva pervasività, di cui si discute fin dagli anni
Sessanta ma che mantiene e anzi incrementa nella coscienza pubblica una
sagoma incerta e grigia. Per interagire positivamente con questi processi
insediativi incongrui è quindi urgente innanzitutto campionarli
secondo nuovi ed efficaci metodi di conoscenza e tecniche di rappresentazione.
Frutto di un’intenzionalità seria e radicata, che si contrapponga
tra l’altro alla semplicistica deriva mediatica che tende oggi a
condensare il fenomeno nella clamorose quanto fugaci immagini degli “ecomostri”.
Nell’ipotesi di Zanfi, le possibilità di trasformazione sono
infatti già “latenti” nella condizione presente degli
insediamenti abusivi, e l’impegno è quello di immaginarne
progettualmente un futuro partendo “da un ‘nuovo’ che
non viene inventato, ma piuttosto colto e coinvolto perché già
si dà”. Un lavoro sul campo esplicitato nelle pagine del
libro da una ricognizione su sei tessuti del Mezzogiorno italiano cresciuti
senza regola, per cui sono poi immaginate specifiche modalità di
crescita. Il “paesaggio invisibile” di Davide Pagliarini è
invece esemplificato da un segmento costiero della Sicilia sudorientale,
i trenta chilometri litoranei tra Gela e Punta Braccetto (Ragusa), uno
dei maggiori distretti ortofrutticoli italiani. Un delicato ecosistema
segnato e alterato dalla presenza intensiva delle serre, un tessuto in
cui si sono introdotti e infiltrati, negli anni e con modalità
diverse, insediamenti residenziali frammentati e informali. Oltre alla
ricognizione sul campo, al rilievo puntuale e alla rappresentazione analitica
del contesto, anche Pagliarini individue e descrive una precisa strategia
d’intervento: l’introduzione mirata di infrastrutture a piccola
scala, microdispositivi che agiscano come catalizzatori in grado di orientare
un processo di recupero del territorio come somma di interventi minimi
sull’esistente. Portatori di un metodo, entrambi i libri sono costruiti
con metodo e rigore, immagini fotografiche di qualità, un’attenta
cura editoriale.
Giovanni Corbellini
Critico e Docente di Progettazione Architettonica, Facoltà di Architettura
di Trieste
Ottobre 2008
Il territorio italiano, soprattutto quello del nostro Meridione, rappresenta
una sfida particolarmente problematica al pensiero architettonico, alla
sua necessità di controllo e di ordine. La ricerca condotta da
Davide Pagliarini su una porzione della costa siciliana, tra Gela e Punta
Braccetto, raccoglie questa sfida ed estende la visione dell’architetto
su una condizione marginale, fatta di insediamenti balneari abusivi e
di agricoltura intensiva; di casette precarie che inframezzano un mare
di serre; di introversione privata e privazione dello spazio pubblico;
di deliri ornamentali e soluzioni autocostruite di automatica appropriatezza;
di ferro, plastica, calcestruzzo e improbabili piastrelle...
Gli strumenti utilizzati sono il sopralluogo fotografico, l’indagine
quantitativa, la cartografia tematica, il disegno, il diagramma, lo schizzo
e, soprattutto, il progetto. Un approccio progettuale che evidenzia principalmente
il suo carattere analitico, la capacità di utilizzare la proposta
trasformativa come reagente per far affiorare caratteristiche e potenzialità
dei luoghi. Questi ultimi sono indagati con uno sguardo aperto, libero
da pregiudizi ma fortemente orientato a rivelare una sofisticata dimensione
estetica, dove alto e basso tendono a scambiare paradossalmente le loro
posizioni. Sguardo che alimenta nel ibro una caratteristica frizione tra
la notevole raffinatezza dell’impaginato e la cruda materialità
delle situazioni.
L’eleganza grafica, la qualità delle fotografie, persino
alcuni eufemismi del testo (dove “informale” compare come
più frequente sinonimo di “abusivo”) restituiscono
uno sguardo positivo, rivolto al futuro, fiducioso nella possibilità
di riscatto di questo territorio attraverso una reinterpretazione architettonica
non pittoresca, capace di partire dalle sue caratteristiche e dalle stesse
pratiche più o meno spontanee che ne hanno strutturato la morfologia.
L'idea è di intervenire attraverso una sorta di strategia di trasformazione
omeopatica (estesa significativamente ad alcuni processi economico-sociali
determinanti) in grado di sovrapporsi all’orizzonte inevitabile
e multidimensionale della sostenibilità: piccoli interventi che
restituiscono senso collettivo agli spazi di relazione (sia quelli del
turismo che della produzione agricola), che risolvono alcune problematiche
ambientali (affrontando il problema della disponibilità d’acqua
necessaria alle coltivazioni intensive e dell’ingente impiego di
pesticidi) e sociali (spogliatoi e infermeria per gli addetti dell’agricoltura),
che introducono luoghi di osservazione e monitoraggio (unendo la fruizione
visiva alla sorveglianza dei parametri sensibili per la salute).
Organizzato linearmente dall’analisi al progetto, il volume nel
suo complesso intende raggiungere l’unitarietà di un elaborato
sintetico che, mettendo in relazione elementi e rivelando rapporti, sposta
lo sguardo di quel tanto da rendere visibile le potenzialità paesaggistiche
di un territorio.
Federico Zanfi
Architetto
Ottobre 2008
Una nuova stagione di politiche e progetti per la città abusiva
dovrebbe avviarsi da esperimenti come questo, ragionando su come incentivare
un sistema infrastrutturale alternativo che fosse allo stesso tempo un
processo di bonifica del territorio consumato e l’occasione per
nuove forme di impresa locale. Ma anche e soprattutto una ritrovata forma
di spazio collettivo, ove il «dispositivo minimo» non si esaurisse
nel ruolo di elemento tecnico, ma fosse il supporto per un diverso modo
di “stare assieme”.
Fabrizia Ippolito
Docente di Tecnica urbanistica, Università della Calabria - Facoltà
di Ingegneria
Giugno 2008
Sofisticato ed elegante, ma anche efficace nell'indicare i temi di riflessione
e di progetto. L'idea delle infrastrutture leggere è una via intelligente
e non scontata per affrontare il tema dell'edificazione informale/abusiva
delle nostre coste, fatta di singoli interventi individuali, ma capace,
per quantità, di alterare la qualità dei paesaggi.
Francesco Ventura
Docente di Urbanistica, Facoltà di Architettura di Firenze
Marzo 2009
"Il paesaggio invisibile" è un lavoro di grande spessore,
ha una ramificata articolazione. Ma, insieme, non manca di esibire con
forza un centro. Vuole incardinarsi su di un senso del "progetto"
a cui sia "affidato il ruolo di catalizzatore". Ed è
così che risolve la complessità di "dati e informazioni"
messa in luce dalla coraggiosa e intensa indagine sul campo.
Nelle scienze chimiche "catalizzatore" è ciò che,
in una qualsiasi trasformazione, agisce permanendo. È ciò
che fa accadere qualcosa senza divenire egli stesso, per poter continuare
a svolgere nel tempo il ruolo di reagente senza alterare questo suo fondamentale
ruolo.
L’étimo di "catalizzatore" è greco: katálysis
indica il "dissolvimento". Ma il termine appartiene a un’area
semantica complessa, che racchiude sensi per certi versi contrastanti:
il senso dello "scioglimento", nonché della "fine"
e della "cessazione", e di conseguenza quello della "sosta"
e della "pausa", fino a indicare il "luogo di sosta"
e di "dimora".
Da un lato si ha la "liquefazione", l'"annullamento",
dall’altro un qualcosa che si fa innanzi come risultato della reazione,
del processo innescato (catalizzato). Un qualcosa che giungendo a compimento,
è "luogo in cui ci si ferma", permettendo di albergarvi,
di alloggiare, in altri termini di abitare i luoghi.
Ciò implica che i molteplici eventi di configurazione dello spazio,
e con essi il divenire del paesaggio prodotto dalle singole opere, siano
promossi liberandoli dai legami che li frenano; ma insieme siano guidati
da una legge in grado di strutturarli secondo le modalità di relazione
progettate e che dunque devono mantenersi stabili, non divenire, altrimenti
si produrrebbero legami o semplici giustapposizioni non desiderate.
Una delle relazioni di fondo, acutamente avvertita come problema del nostro
tempo, e che costituisce la più forte motivazione dell’indagine
di Pagliarini, è quella tra "manufatti" e "ambiente".
Noi siamo testimoni e partecipi di una progressiva coerenza del pensiero
all’evidenza del divenire, che obbliga a esclude l’esistenza
di qualsiasi dimensione immutabile della realtà, in quanto negazione
della verità del divenire medesimo.
Nel nostro campo un progetto è tanto più potente nella sua
capacità di far presa sul divenire quanto più è ipotetico,
controvertibile, quindi in grado di adattarsi agli imprevisti e alle novità
inattese, mantenendo fermo lo scopo.
Al lavoro di Pagliarini è sottesa questa forte tensione. Si muove
nella direzione della coerenza al divenire, distaccandosi dalla tradizione
dei modelli spaziali. La qualificazione del progetto come catalizzatore
ne è una testimonianza tra altre.
E tuttavia qualsiasi progetto, nella consapevolezza di esser prima o poi
smentito, vale solo se si realizza, ossia solo se riesce a esibire un
suo operare che i più interpretino come sua realizzazione.
Da ultimo la potenza di un progetto, non potendo fondarsi su alcunché
di stabile, dipende dalla potenza dell’apparato tecnico che riesce
a possedere e a usare per raggiungere il suo scopo.
"Il paesaggio invisibile" è ricco di proposte tecniche
e tecnologiche, che tendono a dare risposte a una molteplicità
di scopi e non a escluderli come quasi sempre accade nei progetti marcatamente
ideologici di molta urbanistica tradizionale.
Elena Turetti
Docente di Architettura del Paesaggio, Politecnico di Milano - Facoltà
di Architettura
Febbraio 2009
L’incipit della ricerca: un viaggio condotto attraverso la semplice
esposizione di un territorio ad uno sguardo attento a cogliere la consistenza
fisica del mondo nelle diverse scale e nelle sue manifestazioni meno cangianti
lungo la costa tra le provincie di Ragusa e Caltanissetta: una flora artificiale
e frammista di abitacoli e depositi, di stanze e di serre, aree umide
e vegetazione di macchia e gariga, manufatti semplici decorati con tessere
di pietra o ceramica, intonaci dilavati e bouganville, graticci e maioliche,
quale espressione di un’organizzazione collettiva dello spazio tutta
dettata da un contratto sociale implicito e rigido, frutto di attività
diverse e di una situazione sociale incerta, talvolta marginale ma viva.
Merito dello sguardo volto a tesaurizzare il tempo e con il tempo la sua
capacità di raccogliere ogni cosa, di registrare la spietata presenza
di quel che c’è e di quel che succede; fotografie senza presenza
umana ma vive, senza ricordi né nostalgie, senza assiomi né
denuncie.
L’auspicio: cambiare il corso delle geografie emerse nude ed ingombranti,
non prive di sedimento con l’innesto calibrato di micro infrastrutture
con l’aplomb di un abito cucito su misura in grado di serbare la
seppur minima risorsa fisica e mentale rilevabile in loco e di immettere
dispositivi minimi di raccolta delle acque meteoriche, di potabilizzazione
dell’acqua di falda, di depurazione delle acque reflue per uso agricolo,
di produzione di energia fotovoltaica il tutto accolto in un intorno da
cui chiaramente emerge un’attitudine radicata all’auto da
fè che trova felice espressione in pratiche di assemblaggio ardite,
in lavorii continui, in inesauste mani.
Che l’infiltrazione abbia luogo, che si proceda per tentativi affinando
in corso d’opera tempi e modalità, sempre calibrando la portata
della propria presenza.
Pubblicazioni
Ark, rivista trimestrale di architettura, n. 11/2013
Ark, rivista trimestrale di architettura, n. 4/2011
Saverio Luzi, Il paesaggio perturbato, Art App, n. 2, novembre
2009, pp. 4-9
Architettura per superare l'emergenza, Il Giornale dell'Architettura,
n. 77, ottobre 2009, p. 24
Attraversamenti 09, Biennale diffusa di architettura contemporanea,
catalogo, 2009
Laura D'Amelio, Il paesaggio invisibile, Architettura del paesaggio,
n. 20, marzo-giugno 2009, p. 122
Roberto Zancan, Make the face of heaven so fine. Recenti costellazioni
di ricerca sulla Sicilia Orientale, Archivio di Studi Urbani e Regionali,
anno XL, n. 94, gennaio-aprile 2009, pp. 153-163
La Sicilia, Convegno In/Arch Sicilia. Norme più semplici
contro l'abusivismo, 22 marzo 2009, p. 37
La Gazzetta del Sud, Bloccare l'abusivismo e riqualificare l'esistente,
21 marzo 2009, p. 29
Roberto Gamba, Praticare il paesaggio. Forum a Bergamo, Italia
Oggi, 18 marzo 2009, p. 13
Roberto Gamba, Progetti per insediamenti abusivi in Sicilia,
Italia Oggi, 18 marzo 2009, p. 13
DNews, Praticare il paesaggio, 18 marzo 2009, p. 27
Domus web, Usi e abusi, 4 marzo 2009
Roberto Gamba, Forum a Firenze su Usi e abusi lungo le coste italiane,
Italia Oggi, 4 marzo 2009, p. 19
Angelo Bugatti, Il paesaggio invisibile. Territorio informale,
Costruire, n. 307, dicembre 2008, p. 60
Anna Foppiano Città latenti e paesaggio invisibile, sito
della rivista Abitare, agosto 2008
Davide Pagliarini, Il paesaggio invisibile, Librìa, 2008
Federico Zanfi, Città latenti. Un progetto per l'Italia abusiva,
Bruno Mondadori, Milano, 2008, pp. 216-217
Gian Piero Saladino, Il Paesaggio Invisibile, La Città
Magazine, Ragusa, 20/09/2008, n.18, p. 14
Davide Pagliarini, Elena Turetti, Il paesaggio dell'abusivismo,
Gomorra n. 12, Meltemi, 2007, pp.123-125
Roberto Gamba, La città al plurale, Italia Oggi, 14 giugno
2006, p. 46
Paola Pierotti, Sicilia, idea per le coste, IlSole 24 ore - Progetti
e concorsi, n.16, 24-29 aprile 2006, p. 2
Prototipi in rassegna a newlandscapes, IlSole 24 ore - Progetti
e concorsi, n.16, 24-29 aprile 2006, p. 12
Francesca Pagnoncelli, I nuovi paesaggi urbani, Il Bergamo, 22
aprile 2006, p. 37
Roberto Gamba, Bergamo. Ricerche sull'ambiente, Italia Oggi,
26 aprile 2006, p. 40
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